A un secolo dalla sua morte, tante sono le iniziative che nascono per ricordare Eduardo Scarpetta, arcinoto attore e commediografo che fu l’anima teatrale di Napoli.

Eduardo Scarpetta fu l’attore e commediografo più importante del teatro napoletano a cavallo tra ‘800 e ‘900, riformatore diretto del modo di concepire il teatro e, si può dire, inventore della commedia napoletana moderna. Visse all’insegna di una vera dedizione alla risata, che lo accompagnò sin da piccolo e condizionò tanto la sua filosofia artistica quanto la sua rocambolesca vita privata, che a sentirla raccontare sembrerebbe sceneggiata.

Nacque a Napoli nel 1853, figlio di un funzionario governativo che più volte e invano tentò di indirizzarlo ai suoi stessi studi. Invece, la vera scintilla di Eduardo e punto d’incontro con il padre fu il teatro: frequentando gli spettacoli comici del San Carlino, a cui Domenico Scarpetta assisteva con il figlio, questi sviluppò una venerazione per Antonio Petito, ai tempi il più celebre Pulcinella in circolazione, per il modo in cui riusciva a imprimere la propria personalità nella maschera. Tant’è che già a 15 anni Eduardo si unì alla sua compagnia teatrale come generico. Intuendone il potenziale, Petito lo scritturò per le prime farse nel ruolo di Felice, un comprimario di Pulcinella e stereotipo del “mammone”, conformando però il copione alla personalità di Scarpetta. Fu un successo clamoroso, Eduardo divenne un tutt’uno col personaggio al punto da reinventarlo nel celebre Don Felice Sciosciammocca, suo inimitabile marchio di fabbrica. Intraprendente ed ambizioso, ascese al ruolo di capocomico e a fama nazionale interpretando Don Felice nel 1878 in Lu curaggio de nu pompiere napulitano.

Nel 1880, con la morte di Petito, morirono il San Carlino e, in un certo senso, Pulcinella con lui. Scarpetta, tuttavia, non vacillò, riuscì ad acquisire il teatro e a rinnovarlo negli interni e nella direzione artistica. Gli strascichi della Commedia dell’Arte avevano reso il teatro comico di fine ‘800 un repertorio di scene ripetitive interpretate dalle solite maschere, dove l’attore era sostituibile e l’aspetto e la parlata bizzarri erano la fonte della comicità; lo stesso Pulcinella, per quanto fosse la maschera del suo maestro, per Scarpetta non era altro che un volto grottesco. Questa fu però l’occasione per Scarpetta di operare in prima persona una rivoluzione che da tempo auspicava: un teatro sinergico e verisimile, dove l’attore e la sua personalità davano forma al personaggio e, grazie ad un copione preciso e l’affiatamento tra i membri della compagnia, metteva in scena storie realistiche di cui la nuova classe borghese rideva poiché vi si riconosceva.

Il modello teatrale di Scarpetta ebbe sin dal debutto un successo impressionante, rendendolo una delle figure più celebrate dai napoletani. Oltre a tanta fama, il suo operato gli attirò anche tante critiche, in particolare da quella fazione di intellettuali guidata da Salvatore Di Giacomo che tentava di nobilitare il dialetto e riteneva che il dramma, e non la commedia, si addicesse a quell’ideale. Sin da quand’era piccolo e gli spettacoli drammatici lo annoiavano tremendamente, Scarpetta mai si volle snaturare come comico, ma l’unico modo per offrire varietà al suo pubblico era, accanto alle eccellenti opere originali come Miseria e Nobiltà, adattare in dialetto anche commedie in lingua e pochade francesi, che gli valsero accuse di essere derivativo. Queste culminarono con il celebre processo in cui Gabriele D’Annunzio, spalleggiato da Di Giacomo, lo accusava di aver plagiato la sua tragedia La Figlia di Iorio con la parodia Il figlio di Iorio messa in scena al Teatro Salone Margherita. La vittoria del comico, grazie all’audace difesa di Benedetto Croce («La parodia è nell’arte perché è nella vita. Accanto all’infinitamente grande, vi è l’infinitamente piccolo»), fu precedente per le attuali leggi sulla satira.

Nei suoi ultimi anni, Scarpetta fu anche pioniere della settima arte, collaborando con la Musical Film di Milano all’adattamento cinematografico di alcune sue commedie: Miseria e nobiltà, La nutrice, Un antico caffè napoletano, Tre pecore viziose e Lo scaldaletto. Morì amareggiato per via del crescente volume di critiche, ma il suo funerale fu celebrato in pompa magna dall’intero popolo partenopeo.

Foto:dal web

 

 

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