“SIGNÓ, SE CERCATE GLI UFFICI, STANNO PIÚ SOPRA”

Antonella Morea, attrice, regista, cantante, racconta a Terre di Campania spaccati della sua vita artistica 

«Ho cominciato a cantare con la chitarra, nei locali, negli anni ’73 e ’74.  Poi ho conosciuto un regista teatrale di Torre del Greco, Lucio Beffi, che mi chiese di fare una canzone in uno spettacolo suo.  Accettai. Ma alla fine, tutto facevo tranne che cantare perché Lucio mi faceva recitare.» 

Antonella Morea, napoletana, regista, cantante, attrice, è premio Terre di Campania 2025 per la sezione “Spettacolo”. Con un curriculum, fatto di mezzo secolo di presenza costante sulle scene italiane, che inizia con il debutto al Festival dei Due Mondi di Spoleto nel 1976, diretto da Romolo Valli e Giancarlo Menotti,  ne ’La Gatta Cenerentola’ del maestro Roberto De Simone, con il quale collaborerà per molti anni in spettacoli da coprotagonista e protagonista, miete successi sulle scene in opere che sono pietre miliari dello spettacolo italiano. 

A partire dall’Opera Buffa del Giovedì Santo’ per continuare con la ‘Festa di Piedigrotta’, ‘Eden Teatro’ di Viviani e ‘Cantata per Masaniello’ con il gruppo Inti-Illimani. Lavora poi con artisti come Luca De Filippo, Massimo Ranieri (regia di Maurizio Scaparro), Giuseppe Patroni Griffi, Aldo e Carlo Giuffré, Mario Scarpetta e Riccardo Pazzaglia. Al cinema ha preso parte a film diretti da due premi Oscar, Giuseppe Tornatore e Paolo Sorrentino, oltre a collaborazioni con Vincenzo Salemme e Leonardo Pieraccioni. In televisione ha partecipato a fiction come ‘Capri’ e alla sitcom ‘Impazienti’ con Max Tortora ed Enrico Bertolino. 

E come è arrivata al Teatro? 

«Per incoscienza e per curiosità. La cugina di Clelia Matania, l’attrice che faceva la moglie di Paolo Stoppa in ‘Carosello Napoletano’ mi disse “Senti,  guarda che De Simone fa i provini per la Gatta Cenerentola, ha fatto provare a me la lavandaia, ma io sono vecchia ho quarant’anni, tu sei una ragazza, perché non vai?”. Le rispondevo che mi mettevo paura, che temevo le domande tecniche del maestro perché ero autodidatta… ma, niente, non ci fu niente da fare perché un bel giorno mi chiamò De Simone – lei e Peppe Barra gli avevano parlato di me senza dargli tregua – e feci il provino. E arrivò pure la temuta domanda tecnica: “in che tonalità canta?” … non seppi rispondere. Ma lui si mise al pianoforte e io cantai. Andò bene. Mi fermai a sentire le prove: c’erano i miei idoli, Concetta Barra, la compagnia di Canto Popolare… vede io quando andavo alle feste, con la mia compagna di classe, mi mettevo a sentire le villanelle, Culumbrella, Tammurriata nera altro che ‘Equipe 84’. Comunque, finisce il provino e lui mi dice “signora va bene, se ritorna domani c’è questa prova importante da fare”: era il ballo delle lavandaie. Giuro che sono stata tutta la notte a pensare ‘Maronna chi sà ched è stu ballo’.» 

Si ferma un attimo, ma solo un attimo, perché poi riprende a parlare come un fiume in piena. Provateci voi a fermare Antonella Morea quando racconta pezzi della sua vita; provateci voi a non restare zitti e muti, incantati da ricordi, aneddoti e parole napoletane azzeccose come il miele. 

«Il giorno appresso – riprende – arrivò anche Isa Danieli e cominciammo questa sorta di rap strano, popolare, ci mettemmo a ballare assieme a lui che cacciò e si mise a suonare una tammorra più grande di lui. Finito, mi disse “Va benissimo, lei mi piace molto perché non ha vizi teatrali di sorta, è un’anima bianca, una lavagna pulita su cui potere scrivere” e siccome portavo i capelli biondi come Gabriella Ferri, che mi piaceva tanto, mi disse “Signò cambiate perché non capisco cosa ci sta sotto”. Arrivai, il giorno dopo, senza trucco, con i capelli senza colore e cchillo me guarda e ffà “Signò se cercate gli uffici sono più sopra” … gli risposi guardi maestro io sono quella di ieri  “ah” rispose – “e ce steva chestu ppoco a sotto?”. Fu così che cominciai.»

E poi? 

«E così poi sono andata via perché volevo fare la mia esperienza. Ma sono tornata, e poi andata e poi ritornata. Insomma sono stata una pedina fissa dei suoi spettacoli.»

Insomma ha voluto fare teatro. 

«Vede mia madre era nipote diretta di Renato Carosone, uno dei miei zii era un agente delle tasse ma scriveva canzoni per i festival di Napoli ed è stato l’autore di ‘Indifferentemente’, la nonna era un canzonettista e a 11 anni cantava ai bagni Eden quando c’erano Anna Fugez, Elvira Donnarumma, e la bisnonna ha lavorato con Viviani. Io però non volevo seguire le orme di nessuno di loro. Mi piaceva farmi strada con le forze mie. Infatti quando mia madre mi voleva portare da Renato Carosone io mi sono sempre opposta. Poi finalmente l’ho conosciuto, negli anni Ottanta, quando feci uno spettacolo al Maschio Angioino e lui mi venne a trovare in camerino e fu una cosa bellissima.»

Quanti sacrifici… 

«Vede, il sacrificio importante è forse quello di non avere costruito una famiglia mia perché ho dedicato molto tempo allo spettacolo. Ma non è stato un sacrificio vero e proprio perché non ho lasciato mai nessuno. Forse avrei voluto un figlio e non l’ho fatto perché non volevo coinvolgerlo nella vita zingaresca che facciamo noi che stiamo in mezzo a tanta gente…  ma siamo sempre soli. Sono una che ha sempre sperimentato e oggi sperimento nel web perché ci sono nuove frontiere di comunicazione. Certo, dopo mezzo secolo di teatro serio queste cose mi hanno dato notorietà. E questa è l’assurdità.  Ma io però sono sempre me stessa e non strizzo l’occhio a cose becere. Sono sempre me stessa e credo molto nella meritocrazia:  sono sempre andata  avanti con le mie gambe. E devo dire la verità, dopo 50 anni ho raggiunto un bel traguardo. Ho lavorato con molta passione e continuo a farlo. Ancora oggi faccio cose con molta umiltà e passione e semplicità perché questa è una cosa che sta dentro di me e non la posso abbandonare.»

Se un ragazzo venisse da lei e le chiedesse cosa serve per fare teatro, che gli risponderebbe?

«Che ha dda sturià. Gli direi che deve fare, che deve sapere, che deve stare in mezzo. Oggi è difficile fare teatro. E molto difficile. Però devo dire questo: i ragazzi di oggi, che amo moltissimo e con i quali lavoro tantissimo, sono diversi da noi. Noi avevamo compagnie che duravano sei sette mesi, loro no, loro il teatro se lo devono fabbricare,  lo devono scrivere e lo devono produrre e devono entrare a fare parte di un  circuito, cosa non semplice. Vede, il lavoro con questi ragazzi che hanno dei beni confiscati alla camorra, alla Sanità, un gruppo che si chiama Puteca Celidonia, e che partecipano a bandi e concorsi, mi ha portato con uno spettacolo ad avere una nomination, con ‘Felicissima Juornata’,  a un  festival di Castrovillari.  Questa, per me, è stata una seconda giovinezza teatrale. Io da loro imparo tantissimo e per loro mi butterei nel fuoco»

Se fosse una canzone, quale le piacerebbe essere? 

«Aeeee. Non lo so. Io vado oltre il napoletano. Mi piace il punk, il pop… forse mi piacerebbe essere ‘Sally’ di Vasco Rossi. Una grande storia di donna che si muove su due livelli. Una storia di rivincita. Una donna che ha sofferto, che ha patito, che va avanti e che supera tutte le avversità. È tosta. Senza vigliaccheria. Mi ci rivedo.»

Lei è premio Terre di Campania 2025 per lo Spettacolo, che ne pensa? 

«A volte ho questo dubbio: non so se sono premiata per quello che faccio adesso o per quello che ho fatto prima. Ma  devo dire che in quest’ultimo periodo ne sto ricevendo diversi, di premi. Vuol dire che ho lavorato bene, che ho seminato bene. E sono onorata di essere stata scelta per ricevere questo premio.»

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