Patrizia Rinaldi, scrittrice napoletana e autrice televisiva, si racconta a Terre di Campania

 

«Quando, signorinella, dissi ai miei genitori “Io voglio fare la scrittrice”… ne ebbi in risposta una sonora risata e un invito: “studia, mo stanno aspettando proprio a te che scrivi, mettiti a studiare!”. Ed è stato quello che poi ho fatto, ho studiato. Mi sono laureata in filosofia e mi sono specializzata in scrittura teatrale.»

Patrizia Rinaldi, “donna della periferia napoletana” come ama definirsi, vivendo quasi da sempre nell’area flegrea, penna finissima, con una lunga storia di progetti letterari portati a termine presso l’Istituto Penale Minorile di Nisida, è premio Terre di Campania 2025 per la sezione “Letteratura”. Rinaldi, che ha pubblicato, tra gli altri, con Edizioni E/O, Giunti, Lapis, Piemme, Rizzoli, Sinnos, è stata tradotta in più paesi; la serie televisiva Blanca, prodotta da Lux Vide – Rai e trasmessa da Rai 1 e Netflix, è liberamente tratta dai suoi romanzi, pubblicati dalle Edizioni E/O. La scrittrice è tra i cento autori che hanno rappresentato l’Italia, Paese Ospite alla Fiera del Libro di Francoforte nel 2024 e nel 2016 ha vinto il premio “Andersen Miglior Scrittore”, il maggiore riconoscimento italiano di letteratura per ragazzi.

 

«Vede – continua – Il mio sogno di diventare scrittrice mi sembrava troppo grande per essere sognato quando tutti gli altri bambini aspiravano a diventare calciatori, scienziati, astronauti. Per me scrivere è sempre stato un desiderio fortissimo, mi sembrava che scrivendo il mondo si aggiustasse un poco, anche quando riportavo delle cose non certo piacevoli. Ecco, mi sembrava che il mondo potesse essere aggiustato con le parole.»

 

Quanto l’ha aiutata nella scrittura, la laurea in filosofia?

«Credo che tutto aiuti e che il vissuto aiuti o condanni. Insomma, mi ha aiutato a sapere scrivere in un italiano corretto, ad avere delle conoscenze. Però, più di qualche altra cosa, mi ha aiutato la passione. Quella passione talmente forte che ti porta a resistere a tutto. Vede, io vengo da una periferia (dove vivo ancora) napoletana con pregi e difetti e prima del 2006 non avevo alcun contatto con il mondo editoriale. Anni fa era più difficile avere contati con editori. Ora ci sono gli on-line, i social, tutto è diventato più semplice. Ho cominciato a pubblicare nel 2006 perché ho vinto un concorso importante e da quel momento ho iniziato ad avere contatti continui con il mondo editoriale.  E per fortuna non ho mai più smesso. Ho lasciato il mio lavoro di insegnate ma non ho lasciato la scuola perché continuo a fare laboratori, a lavorare on line, e sono stata per tanti anni volontaria con altri scrittori e scrittrici napoletane all’istituto penale minorile di Nisida.»

 

L’essere vissuta in periferia e avere camminato in quella realtà quanto ha inciso nella sua scrittura?

«Moltissimo. Perché quella è la mia identità Sono una donna della periferia, legatissima alla mia terra, ai Campi flegrei, non me ne sono mai voluta andare anche quando mi sarebbe convenuto; amo profondamente questa terra, con tutte le sue contraddizioni; non voglio fare apologie ma io sto bene, io vivo qua, io sono di questa terra.»

 

Mi tolga una curiosità: quando scrive, a quale segno di punteggiatura è più affezionata? A una virgola, al punto esclamativo? Nella sua scrittura chi vale di più tra un punto e virgola e un punto?

«Per me valgono tutti. Amo molto il punto e virgola. Ma mi piacciono anche il punto esclamativo e quello interrogativo. A dire il vero, quello esclamativo mi era diventato un poco antipatico perché sui social mettono questi tre punti esclamativi che disturbano, però poi l’ho recuperato. Ma credo che la punteggiatura sia fondamentale e che la lingua italiana sia una sinfonia anche per questo motivo: il punto non può fare a meno del punto e virgola; i puntini sospensivi non possono fare a meno del punto esclamativo: c’è una corrispondenza amorosa tra tutti i segni d’interpunzione. Non riesco a scegliere. Sono tutti importanti.»

 

Cosa l’ha spinta a specializzarsi in scrittura teatrale?

«Esco pazza, come si dice a Napoli, per i dialoghi. I dialoghi devono essere credibili. Danno il modo di parlare, dipingono il contesto e il personaggio.»

 

Come è nata Blanca?

«Blanca è nata nel 2004: mi trovavo con mia figlia, piccolissima, a una visita guidata fatta da ciechi e ipovedenti per sperimentare spazi museali e altro. Uno dei primi percorsi al buio che si facevano; ci bendarono; mia figlia subito comprese l’altra dimensione, le altre possibilità sensoriali, io che invece avevo da poco avuto un lutto stavo parecchio male e mi muovevo a stento. Una delle guide allora mi suggerì di fidarmi di altre possibilità. Lo feci e da allora quello è diventato un simbolo fortissimo e mi ha portato a inventare Blanca, una donna non eroica ma giusta, che sopravvive con quello che ha e che fa della sua fragilità un punto di forza.»

 

Lei lavora con i ragazzi dell’Istituto minorile di Nisida

«Si. Ho lavorato come volontaria a Nisida dal 2007 al 2019, assieme a tanti altri scrittori napoletani, sono stata quella che ha iniziato un poco prima degli altri ma le dico che nessuno di noi avrebbe potuto fare il resto di niente se la docente non avesse preparato i ragazzi. I ragazzi venivano preparati agli incontri e poi scrivevano dei testi e noi assieme a loro.  Quegli scritti vennero raccolti e pubblicati, per la maggior parte, dall’editore Guida.»

 

Quanto le ha dato questa esperienza?

«Ho imparato tantissimo. Ho imparato sia dai ragazzi sia dagli insegnanti che lavoravano con i minori a rischio sin dai tempi del Filangieri. La responsabile di questi laboratori è la professoressa Maria Franco alla quale sono rimasta legatissima, è una mia maestra.»

 

A cosa sta lavorando ora?

«Sto lavorando a un romanzo che non so quando uscirà… sono alla fase inziale, molto bella. Poi lavoro con i ragazzi, faccio laboratori.»

 

Cosa pensa del premio Terre di Campania?

«Sono felicissima. Guardi, i miei genitori erano campani ma non napoletani: mamma era originaria del casertano e papà del Vallo di Diano, e io sono venuta a Napoli per studiare; da allora sono sempre vissuta qua, nei Campi Flegrei. Ecco, questo premio l’ho dedicato ai miei genitori.»

 

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